Che lo sport sia un’attività importantissima nella vita di tutti è, oggi giorno, un pensiero da molti condiviso. Una sostanziale differenza però vi è ancora nel modo di vedere e considerare alcune discipline sportive. Una tipica domanda che spesso viene rivolta è: “Che sport fai?” Se la risposta è Calcio, Basket, Pallavolo, Nuoto, piuttosto che Tennis, nulla di insolito. Nel caso di pratiche meno diffuse come Scherma, Rugby, Arti Marziali (di vario genere), è facile suscitare l’interessamento dell’interlocutore, ma quando la risposta è “faccio l’Arbitro di Calcio”, la reazione è spesso tanto spontanea quanto buffa e genuina: “L’Arbitro? Ma chi te lo fa fare?”.

A questo punto, nella testa del giovane arbitro si apre a ventaglio il novero delle risposte plausibili:

  • Per la tessera: “…in effetti però quando arbitro non la uso… per vedere partite di un certo livello c’è da fare l’accredito ed è così complicato che ti passa la voglia…!”
  • Per soldi: “…i rimborsi arrivano dopo mesi e sono meno della paghetta di un liceale…!”
  • Per la passione per il calcio: “…si vabbè, il pallone posso solo toccarlo quando lo porto a centrocampo!”
  • E’ un modo sano di fare sport: “…se essere continuamente insultato (quando va bene) è una cosa sana…”

Una volta scartate le succitate alternative non resta altro che rispondere: “Ho iniziato per gioco e curiosità, oggi è diventata una passione!”. Sia chiaro: non nel significato di patimento, tribolazione, pena, bensì nella piena accezione di attaccamento, dedizione, slancio e amore. Proprio così… amore! Non quello della “cotta” immediata ed improvvisa, ma quello che via via cresce dentro, alimentato dal fascino di un ruolo che, pur restando tale (l’Arbitro!) assume infinite sfaccettature e si evolve con la maturazione del singolo attraverso sensazioni sempre diverse ed un crescendo di emozioni legate ad ogni step della carriera.

L’incoscienza dei primi passi, la curiosità per un’esperienza nuova, la gioia di indossare una divisa e l’inizio del sogno di arrivare a San Siro ben presto lasciano spazio alla tenacia per migliorarsi, alla soddisfazione per i primi esordi, ma soprattutto alla rivelazione di qualità basilari anche nella vita di tutti i giorni come motivazione ed autostima, nonostante gli immancabili episodi di delusione e scoraggiamento.

A poco a poco si acquisisce autorevolezza nel percorso di perfezionamento tecnico ed atletico e si impara a gestire ansia e timore attraverso l’approfondimento delle relazioni umane che inevitabilmente l’arbitraggio presenta nelle più svariate situazioni.

Col passare del tempo si comincia a gustare il desiderio della “prossima” designazione, assaporare la gioia della trasferta (prima da soli e poi magari in terna), conoscendo luoghi che difficilmente sarebbe stato possibile visitare e persone con le quali mai avremmo dovuto o potuto confrontarci.

La passione cresce e si alimenta man mano che i campi sono più verdi e meno polverosi, le righe più dritte, gli spogliatoi più confortevoli, le Forze dell’Ordine presenti non solo sulla carta, il gioco più tecnico e veloce e il pubblico sempre più numeroso e rumoroso.

Scalare le categorie diventa lo stimolo principale per dare il meglio di se stessi, sforzarsi per superare i propri limiti e costruire i propri successi basandoli sui precedenti.

La vita associativa assume un sapore sempre più “confidenziale”, la sezione diventa un punto di riferimento ed il campo di allenamento il luogo migliore per dar sfogo al proprio ardore ed al proprio entusiasmo.

Più si matura e più si riesce a trovare l’equilibrio tra i desideri e le reali possibilità. Nonostante ciò, il sogno della Serie A diventa sempre più ricorrente, ma ad un certo punto occorrerà fare i conti con la realtà, e soprattutto con la legge dei grandi numeri: dati alla mano, “Uno su mille ce la fa” (cantava Morandi) ed arriva a San Siro!

Si può essere quell’”uno”, ma è più facile che si faccia parte di quegli altri “999”, di chi magari non è riuscito a raggiungere palcoscenici nazionali, di chi è arrivato ad un passo dal toccare il cielo con il dito o di chi comunque il cielo col dito lo ha toccato ogni domenica consapevole di esser elemento di un sano ambiente sportivo e di vivere un’esperienza non comune.

E’ proprio questa consapevolezza che ci spinge, anche dopo aver attaccato il fischietto al chiodo, a voler continuare imperterriti ad essere “parte del gioco” anche senza i pantaloncini e il sudore della fronte, ma, esposti al sole o alle intemperie, a seguire, consigliare ed incoraggiare quel collega che sta ripercorrendo i tuoi stessi passi per diventare quell’”uno” o quel ragazzino al quale sicuramente domanderanno: “Fai l’Arbitro?  Ma chi te lo fa fare?”.